:: Filemone e Bauci ::

 

"Immensa e senza limiti è la potenza del cielo: ciò che vogliono gli dei, sia quel che sia, si compie. E per toglierti i dubbi, c'è sui colli di Frigia una quercia, con accanto un tiglio e intorno un basso muro di cinta; ho visto il luogo io stesso: fu quando Pitteo mi mandò nelle terre su cui un giorno aveva regnato suo padre Pèlope. Non lontano da lì c'è uno stagno, un tempo terra abitabile, ora distesa d'acqua affollata di smerghi e folaghe palustri.
Qui, sotto aspetto umano, venne Giove e insieme a lui il nipote di Atlante, privo d'ali e con la sua bacchetta magica.
A mille case bussarono, in cerca di un luogo per riposare; mille case sprangarono la porta. Una sola infine li accolse: piccola, piccola, con un tetto di paglia e di canne palustri, ma lì, uniti sin dalla loro giovinezza, vivevano Bauci, una pia vecchietta, e Filemone, della stessa età, che in quella capanna erano invecchiati, alleviando la povertà con l'animo sereno di chi non si vergogna di sopportarla.
Non ha senso chiedersi chi è il padrone o il servitore: la famiglia è tutta lì, loro due; comandano ed eseguono tutti e due.
Quando i celesti, arrivati a questa povera casa, entrarono chinando il capo per l'angustia della porta, il vecchio li invitò ad accomodarsi, accostando una panca, sulla quale Bauci stese con premura un ruvido panno; lei, poi, smosse sul focolare la cenere tiepida, ravvivò il fuoco del giorno avanti, alimentandolo con foglie e corteccia, e ne fece scaturire fiamme con quel poco fiato che aveva.
Rembrandt, Philemone e Bauci , 1658 National Gallery of Art - clic per ingrandire Da un ripostiglio trasse scaglie di legno e rametti secchi, li spezzettò e li pose sotto un piccolo paiolo; spiccò le foglie ai legumi raccolti dal marito nell'orto bene irrigato, mentre lui con un forcone staccava la spalla affumicata di un suino appesa a una trave annerita: di quella spalla a lungo conservata taglia una porzione sottile, che pone a lessare nell'acqua bollente.
Intanto ingannano il tempo che si frappone conversando, [perché non si avverta la noia dell'attesa. Appesa a un gancio per il suo manico ricurvo, vi è una tinozza di faggio: la riempiono d'acqua tiepida e vi immergono i piedi per ristorarli. Al centro, sopra un letto dalla sponda e dalle gambe di salice, c'è un giaciglio d'erbe morbide.] Sprimacciano il giaciglio d'erba morbida di fiume, posto sopra il letto dalla sponda e dalle gambe di salice. Lo coprono con una coltre, che hanno l'abitudine di stendere solo nei giorni di festa; ma anche questa coltre era vecchia e logora, giusto adatta a un letto di salice.
Gli dei si adagiano. La vecchia, con la veste raccolta, apparecchia vacillando la tavola; ma delle sue tre gambe una è corta: un coccio la pareggia; infilato sotto elimina la pendenza, e il piano viene poi ripulito con un ciuffo di menta verde. Sopra vi pone olive verdi e nere, sacre alla schietta Minerva, corniole autunnali aromatizzate con salsa di vino, indivia, radicchio, una forma di latte cagliato, e uova girate leggermente nel tepore della cenere; il tutto in terrine. Poi porta in tavola un cratere cesellato nello stesso 'argento', bicchieri di faggio intagliato che hanno la superficie interna spalmata di bionda cera.
Dopo non molto, giungono dal focolare le vivande calde, si mesce un'altra volta il vino (certo non d'annata), poi, messo il tutto un poco in disparte, si fa posto alla frutta. Ed ecco noci, fichi secchi misti a datteri grinzosi, prugne, mele profumate in larghi canestri, grappoli d'uva colti da tralci purpurei. Al centro un candido favo. Ma a tutto questo si accompagnano facce buone, sollecitudine sincera e generosa. E qui i due vecchi si accorgono che il boccale, a cui si è attinto tante volte, si riempie da solo, che il vino da solo ricresce; turbati dal prodigio, Bauci e il timido Filemone son presi dal terrore e con le mani alzate al cielo si mettono a pregare, chiedendo venia per la povertà del cibo e della mensa. C'era un'unica oca a guardia di quella minuscola cascina, e loro erano pronti ad immolarla per quegli ospiti divini. Ma l'oca starnazzando scappa in barba a quei lenti vecchietti, beffandoli di continuo, finché fu vista rifugiarsi proprio accanto agli dei, che proibiscono di ucciderla, dicendo:
"Numi del cielo noi siamo, e i vostri empi vicini avranno la punizione che meritano; a voi invece d'esserne immuni sarà concesso. Lasciate solo la vostra casa, seguite i nostri passi e venite con noi in cima a quel monte!".
I due obbediscono e, appoggiandosi al bastone, salgono lungo il pendio a fatica, passo passo. Distavano ormai dalla vetta il tragitto che può percorrere una freccia: volgono gli occhi e vedono che giù tutto è sommerso da una palude, tutto tranne la loro dimora.
E mentre guardano stupiti, piangendo la sorte dei vicini, quella vecchia capanna, piccola anche per i suoi padroni, si trasforma in un tempio: colonne vanno a sostituire i pali, vedono la paglia del tetto assumere riflessi d'oro, le porte ornarsi di fregi e il suolo rivestirsi di marmo.
E allora con voce serena il figlio di Saturno così parla:
"O buon vecchio e tu, donna degna del tuo buon marito, esprimete un desiderio".
Consultatosi un po’ con Bauci, Filemone partecipa agli dei la loro scelta:
"Chiediamo d'essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio; e poiché in dolce armonia abbiamo trascorso i nostri anni, vorremmo andarcene nello stesso istante, ch'io mai non veda la tomba di mia moglie e mai lei debba seppellirmi".
Il desiderio fu esaudito: finché ebbero vita, custodirono il tempio. Ma un giorno mentre, sfiniti dallo scorrere degli anni, stavano davanti alla sacra gradinata, narrando la storia del luogo, Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e il vecchio Filemone coprirsene Bauci. E ancora, quando la cima raggiunse il loro volto, fra loro, finché poterono, continuarono a parlare:
"Addio, amore mio", dissero insieme e insieme la corteccia come un velo suggellò la loro bocca. Ancor oggi gli abitanti della Frigia mostrano l'uno accanto all'altro quei tronchi nati dai loro corpi.
Queste cose mi furono narrate da vecchi degni di fede e che non avevano ragione di mentire. Del resto ho visto io stesso ghirlande appese ai rami e io ne ho appese, dicendo:
"Divino sia chi fu caro agli dei e abbia onore chi li onorò" .

COMMENTO


Jean Restout, Filemon and Baucis,  1766-69, Musée des Beaux Arts, Tours - clic per ingrandire Il quadro totale di questo racconto presenta degli spunti esoterici molto importanti per la nostra indagine.
Innanzi tutto osserviamo che la Divinità è ben presente nella nostra vita di tutti i giorni e che a Lei nulla sfugge.
Ci mette inoltre continuamente alla prova ed ogni nostro comportamento è meticolosamente vagliato, tanto è vero che, dalle nostre azioni positive o negative, ne deriva premio o castigo, come ben ci dice la Legge di causa e di effetto chiamata karma.
Questo mito evidenzia molto bene la mancanza di amore e di comprensione della grande maggioranza della gente che, chiusa nel proprio egoismo, non si cura per nulla di dare ospitalità a due miseri pellegrini.
Tale indifferenza e durezza di cuore porteranno sventura, infatti, una violenta tempesta si abbatterà tutto distruggendo e inondando.
È interessante notare come il diniego venga sempre da chi potrebbe ampiamente rendersi utile agli altri, mentre chi è già povero ed in precarie condizioni è più pronto, perché lo prova su di sé, ad aiutare ed a soccorrere i sofferenti come lui.
La morale è che solo dolorando, purtroppo, si può maggiormente capire il prossimo.
Dunque, in questa storia, due poverissimi contadini danno ospitalità a Zeus e a Hermes, sotto mentite spoglie.
Essi li riconoscono come dei solo dopo aver assistito sbigottiti al miracolo del vino che si riproduce nella brocca.

 

Il vino che riscaldato evapora, è il simbolo della sapienza, del discernimento, del fuoco.
Ecco la presenza di Mercurio (Hermes) che richiama alla mente il caduceo, significato principe dell’evoluzione e della liberazione; percorso iniziatico dall’immanenza alla trascendenza. (vedi Origine, caduta e percorso dell'Umanità)
Questa sostanza non può mancare sul desco di quell’umile coppia e, infatti, si rinnova continuamente.
Sono proprio l’amore e l’umiltà che attraggono a sé il soffio della sapienza (Spirito Santo–Fuoco–Vino-Essenza).

Per questo motivo decidono di sacrificare l’oca che invece è salvata dagli illustri ospiti.

 

Essa è l’emblema della fedeltà coniugale.
Di lei si dice che dopo la morte dello “sposo” non si unisce più ad alcun altro.
Questo volatile chiama inoltre i suoi compagni quando trova cibo; è l’immagine della pace e della concordia nella buona sorte; non vuole tenere la felicità tutta per sé ma è pronta a dividerla con altri.

I simboli presenti nella capanna dei due sposi anziani stanno a delinearne l’integrità morale e spirituale inducendo il Signore dell’Universo a trasformare la loro umile dimora in un preziosissimo tempio.
Infatti, Mercurio chiede loro di esprimere un desiderio e la loro risposta è:
«Concedici di divenire sacerdoti e che la nostra vita si spenga nello stesso istante.»
La loro richiesta viene soddisfatta e Giove, compiaciuto del loro comportamento, accorda loro la missione di Maestri spirituali, finché sono in vita; mutandoli poi, al momento del contemporaneo trapasso, in due alberi: il tiglio e la quercia, ancora una volta dal profondo significato emblematico.

 

.:: Tiglio ::.Il tiglio difatti rappresenta la fecondità e quindi l’amore (nell’araldica è spesso raffigurato con foglie stilizzate a forma di cuore).
I germani lo consacrarono alla dea Freya o Frigg, appartenente alla schiera degli Asi, sposa di Odino di cui condivideva la potenza e la sapienza, madre di Balder; era dea dell’amore, della casa e della felicità coniugale.
Da lei prende il nome il quinto giorno della settimana (venerdì=Venere dea dell’amore) nelle lingue nordiche: Freitag.

.:: Quercia ::.La quercia invece è l’effige dell’immortalità e della durevolezza a causa della consistenza del suo legno.
Spesso colpita dal fulmine, nell’antichità era dedicata a Giove ed egli manifestava la sua volontà facendone stormire le fronde nel boschetto di Dodona.
Nel romanticismo la quercia fu l’impersonificazione della forza imperturbabile: «Fedele ed impassibile come le querce».
I druidi mangiavano ghiande di quercia prima di profetizzare, ma esse erano anche un simbolo sessuale maschile (glans penis).

Come abbiamo narrato dunque, Bauci fu trasformata in tiglio, allegoria della felicità anche in senso lato e Filemone in quercia, simbolo della potenza e della fermezza maschile.
L’una e l’altro complementari, perfetti nella loro evoluzione e destinati ad Opera compiuta ad una vita che proseguirà alta nel cielo proprio come le oche reali che hanno abbandonato ogni contatto con al terra.
Ecco il significato più recondito di questa leggenda contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio, i cui protagonisti sono la metafora del corretto vivere nel Tempo.

Cerchiamo di dare perciò la precedenza assoluta allo Spirito, alla morigeratezza e alla dignità della nostra origine affinché la vita si riempia di significato e possa essere veramente generatrice di frutti straordinari.

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