La
gola è uno dei vizi capitali più connaturato
all'essere umano, infatti riguarda in maniera diretta la sua
parte fisica.
Ciò rappresenta l'aspetto più facilmente percettibile
ma, come vedremo in seguito, non si può trascurare la sua radice
spirituale.
Purtroppo il comune modo di pensare non attribuisce molta importanza
a questa scoria, tuttavia è nostro dovere non lasciarci ingannare.
Ciascun germe che possa intaccare la buona salute dell'anima và analizzato,
e ricercata l'opposta virtù che sia in grado di neutralizzarlo. È
pur vero che esaminandoci attraverso l'utilissimo "esame di coscienza"
cogliamo con più immediatezza le pecche più gravi e
traumatiche. Ma se non badassimo alle più lievi, concederemmo
loro una pericolosa incubazione nella quale possono aumentare la loro
carica dannosa ed esplodere con una inaspettata purulenza.
Il maligno è pronto a sfruttare ogni breccia che gli offriamo
(sia essa minima o ampia) per conquistare il nostro cuore e farci
cadere nella disperazione.
Vegliamo, dunque, anche sulle sfumature dei nostri pensieri, affinché
il nemico non ci colga di sorpresa.
Commenti in merito alla gola li troviamo
innanzitutto nelle Sacre Scritture.
Dell’Antico Testamento ricordiamo Esaù, che per un piatto
di lenticchie perdette la sua primogenitura (Gn 25, 19-34); Oloferne
invece morì a causa dell'ubriachezza, ucciso da Giuditta
(Gdt 12, 20 e segg.).
Naturalmente è Gesù, nel Nuovo Testamento, che ci dà
l'insegnamento maggiore su come si debba condurre la propria
vita. Egli ci raccomanda la libertà interiore per quanto riguarda
i bisogni, anche legittimi, del corpo. Le preoccupazioni materiali
ci discostano dal concetto di fede e di abbandono dei figli al Padre
(Mt 6, 25-33).
Occorre vigilare per evitare che ci si appesantisca nell'ubriachezza,
nella stanchezza e nella sonnolenza (Lc 21, 34). In questa luce, la
lotta al vizio della gola è perfettamente inquadrata nel combattimento
spirituale.
San Paolo si rivolse ai cristiani che venivano dal paganesimo (come
la comunità di Corinto e di Roma); qui, spesso, il mangiare
e il bere erano finalizzati al solo godimento. Si pensi che alcuni
ricchi romani, dopo banchetti interminabili, si procuravano il vomito
con delle piume d'uccello per poter ricominciare a mangiare.
A queste persone egli scrive parole di condanna, affermando che gli
ubriaconi non erediteranno il Regno dei Cieli (1 Cor 6, 10-12).
Nella lettera ai Filippesi (3, 19) l’Apostolo delle genti và
alla sorgente del vizio della gola scrivendo che ci sono persone «che
hanno per dio il loro ventre».
Ogni essere alla deriva ha il proprio dio (la carica, il denaro, le
donne...); ci sono molti che vivono per mangiare anziché
mangiare per vivere, e la loro pancia è il loro piccolo dio.
Ecco rivelato il legame tra la gola e la ribellione prima; la superbia
si dimostra nuovamente quale fonte di tutti i nostri mali.
Nella vita di
tutti i giorni abbiamo spesso sentito la frase: "Siamo ciò
che mangiamo". Niente di più falso, naturalmente
giacché la nostra vera sostanza è ben altra, ma con
questa il mondo ci esprime quali siano i suoi disvalori.
Pensiamo
ai gravi disturbi dell'alimentazione come la bulimia o l'anoressia,
patologie la cui diffusione è sempre maggiore soprattutto tra i giovani.
Un rapporto così disordinato nei confronti del cibo, è causato da
una completa assenza di riferimenti sani sui quali impostare la propria
vita. La prevalenza dell'apparire sull'essere fa sbilanciare queste
persone in un abbandono totale al mondo dell'effimero. Vengono lusingate
dalla moda e dai "must" che, per avere successo, le inebriano fino
a condurle al collasso; satana usa le sue prede e poi le getta (è
un consumista).
Troviamo degli spunti interessanti anche tra gli scritti dei Padri
della Chiesa, i quali annotano una stretta relazione tra la gola e
la lussuria. Questi due tipi di appetito vanno di pari passo, ma vedremo
nello specifico i loro legami nel prossimo approfondimento dedicato
alla lussuria.
Giovanni Cassiano (ca. 360-435) distingue
varie manifestazioni del vizio della gola, segnalando che c'è
chi eccede nella quantità e chi invece nella ricerca della
qualità dei cibi. Vi è il goloso che ha sempre fame,
consuma pasti abbondanti e, terminati questi, si tiene in esercizio
"mangiucchiando" di continuo. Ma vi è anche chi
non necessariamente mangia molto ma è sempre alla ricerca di
cibi delicati e fini. Essi dedicano tempo a preparare o a prepararsi
piatti raffinati e ben curati, i soli che siano adatti alle loro esigenze
e ai loro gusti.
Il cibo per l'uomo saggio deve essere
frutto della semplicità; non si dovrebbe cercare né
la qualità né la quantità, sarebbe consigliabile
alzarsi da tavola non completamente sazi ed infine, cosa molto importante,
conviene situare la moderazione della gola in un atteggiamento di
carità: dice Cassiano che la sobrietà ci induce a pensare
che tante persone hanno fame e non possono sfamarsi.
La nostra vittoria sulla gola sarà più completa se faremo
prevalere l'amore sull'egoismo.
Rieccoci giunti alla gola spirituale prima accennata. Essa inficia
il nostro rapporto con Dio perché ci induce ad amarlo non per
contraccambiare la sua bontà, ma perché Egli dà
qualcosa che desideriamo, di cui siamo avidi. L'ambizione di
poter gustare i doni che il Signore ci concede, la bramosia di poter
essere i protagonisti di eventi non comuni e soprannaturali, sono
aspetti della smania di possesso e di godimento tipici della gola.
Se dunque è pericolosa la gola sul piano fisico, in una società
come quella di oggi opulenta, sazia e indifferente a chi ha fame,
capace di distruggersi con l'alcool, con la droga, con i piaceri
della tavola; per coloro che vogliono seguire il Cristo, non è
meno pericoloso il vizio della gola spirituale. Troppi perseguono
la via dello straordinario, rifiutando la via del nascondimento e
dell'umiltà.
Impariamo a condurre una vita all'insegna della parsimonia e
della temperanza (che è una delle quattro virtù cardinali)
e, soprattutto, dedichiamoci all'analisi di noi stessi al fine
di debellare il vizio della gola spirituale, perché la ricerca
di emozioni e sensazioni ci distoglie dall'Essenziale.
Una nota particolare merita il digiuno.
Esso è un atto di sacrificio di noi stessi volto a ristabilire
il dominio dello spirito sul corpo. E' innanzitutto una "prova
di forza" che il cristiano deve sperimentare per riaffermare
la padronanza di Sé.
Il digiuno deve essere primariamente l'astenersi dalla colpa
e poi da tutto ciò che ci alletta (sia il gusto che gli altri
sensi).
Quando è dedicato a Dio perché soccorra un fratello
bisognoso, unito alla preghiera rappresenta la più profonda
forza spirituale che esista. Il Padre non rimane certo indifferente
alla nostra rinuncia e non manca di potenziarla affinché sia
un gran dono d'amore verso il prossimo, per la Gloria del Signore.
Il digiuno ha anche una particolare valenza nella lotta contro le
entità negative (la cui presenza in questo mondo è purtroppo
copiosa). Gesù, infatti, ci ha detto «...Questa
razza di demoni si scaccia se non con la preghiera e il digiuno».
(Mt 17, 21).
Per concludere vorrei riportare una poesia
scritta da Giovanni Della Casa, l'autore del celebre Galateo.
Possano queste parole aiutarci a contemplare l'infinità
bontà di Dio, che non attende altro che i suoi figli intraprendano
con determinazione quel cammino che a Lui conduce.
INVOCAZIONE
AL PADRE CELESTE
Dopo sì
lungo error, dopo le tante
Sì; gravi offese, ond'ogn'or hai sofferto
L'antico fallo e l'empio mio demerto,
colla pietà delle tue luci sante
Mira, Padre Celeste, omai con quante
Lacrime a Te devoto mi converto,
E spira al viver mio, breve ed incerto
Grazia, ch'al buon cammin volga le piante.
Mostra gl'affanni, il sangue e i sudor sparsi
(Or volgon gl'anni) e l'aspro tuo dolore
A' miei pensieri, ad altro oggetti avvezzi.
Raffredda, Signor mio, quel foco, ond'arsi
Col mondo, e consumai la vita e l'ore,
Tu, che contrito cor giammai non sprezzi.