"Il
pensiero fa la grandezza dell'uomo"
Ci
sono nel tempo, nella storia dell’umanità, individui che
paiono aver per missione la conoscenza e la divulgazione delle loro esperienze
per il collettivo beneficio dell’umanità, uno di questi nacque
a Clermon, Francia centrale, il 19 giugno del 1623.
Blaise Pascal è figlio di un alto magistrato di
nome Étienne, uomo dotto ed onesto, che lo educò con affetto
alle lettere classiche e ad una sana condotta.
Ebbe due sorelle, la maggiore, Gilberte, che nel 1662 scriverà
una biografia morale del fratello e la minore, Jacqueline, che a ventisette
anni entrerà nel monastero di Port-Royal, per la quale Blaise nutriva
profonda ammirazione.
Sin dall’infanzia, Pascal dimostra un’acutezza ed un amore
per il sapere fuori dal comune, tanto che il padre, incoraggiato dai portentosi
risultati, finirà per dedicarsi interamente a lui.
Oltre alla grammatica, all’età di otto anni, Étienne
incomincia col far conoscere al figlio le scienze ed il mondo fenomenico
della natura; il fanciullo grazie ad una curiosità, frutto di una
vigile ed attenta intelligenza, viene spinto a voler comprendere la ragione
di ogni cosa, la sua mente non sembra soddisfarsi con nulla.
A tal proposito la sorella, nella sua biografia, dirà:
“[…]Mio fratello provava un grande piacere in questi colloqui,
ma voleva sapere la ragione di tutte le cose; e poiché non sono
tutte conosciute, quando mio padre non gliele diceva o gli diceva solo
quelle che di solito si adducono, che propriamente sono ripieghi, ciò
non lo accontentava;
egli infatti ebbe sempre un’ammirabile chiarezza di mente per discernere
il falso;
e si può dire che sempre ed in tutte le cose la Verità è
stata l’oggetto della sua mente, poiché nulla ha saputo e
potuto soddisfarlo se non la conoscenza […]”.
Nel 1634, a undici anni, scrive il suo primo trattato sul fenomeno del
suono!
Il padre si era sempre riservato di insegnare le matematiche in futuro,
per non riempirgli la mente e rischiare di renderlo negligente rispetto
alle materie umaniste.
Ma quando Blaise seppe che le scienze matematiche erano un mezzo per creare
figure esatte e trovare le proporzioni che esse hanno fra loro, il ragazzo
si mise, nelle ore libere, a pensare a quei concetti.
Così fu che, senza alcuna indicazione ed alcun libro, servendosi
di bastoncini in legno, a quattordici anni arrivò da sé,
alla trentaduesima preposizione del primo libro di Euclide!
D’ora in avanti studierà anche la logica e la fisica, a sedici
anni scriverà un Trattato sulle coniche, il “Teorema
di Pascal”.
Nel 1640 la famiglia si trasferisce in Normandia, dove il padre viene
nominato commissario del re.
Per aiutare il genitore nei calcoli, crea la machine arithmétique;
viene così inventata la prima calcolatrice della storia, definita
“pascalina”!
Ma è il 1646 l’anno in cui avviene un cambiamento radicale
in Pascal, la sua prima conversione.
Il tutto avviene per aver letto il Discorso sulla riforma dell’uomo
interiore ed altri scritti dell’abate Saint-Cyran sulla pietà
ed i doveri spirituali dell’individuo.
Entra in contatto con gli ideali giansenisti, con un cristianesimo austero
d’impronta agostiniana.
Pascal sente il richiamo ad una vita santa, ma abbandona solo parzialmente
i suoi studi matematici e fisici; inizia però a riflettere su Dio
e sull’esistenza, su come impiegare i talenti donatigli per metterli
al servizio di una causa più nobile delle speculazioni filosofiche
o scientifiche rendendoli conformi alla Legge Universale.
Ne scaturirà una filosofia marcatamente esistenzialista.
Le sue ricerche proseguono, sullo spunto delle scoperte di Torricelli
studia e fa esperimenti sul vuoto e sulle proprietà dei liquidi,
e proprio sull’esistenza del vuoto ha una polemica con il padre
gesuita Noël.
Nel 1647, a causa della salute cagionevole si concede un periodo di riposoin
cui si distrae partecipando alla vita di società, certo più
mondana di quella che era solito frequentare; entra nei circoli scientifici,
discute e si confronta con altri ricercatori.
La volontà di cambiare le sue abitudini e di divenire più
spirituale resta, Blaise continua a meditare e ragionare su problemi di
tipo esistenziale, tanto che la sorella rimane toccata dai suoi discorsi
e decide di abbandonare i vantaggi del mondo, consacrandosi a Dio divenendo
monaca.
Il 23 novembre 1654, Pascal ha un’esperienza mistica che segnerà
la sua definitiva conversione, verrà da lui definita “nuit
de feu”, notte di fuoco, e sarà descritta nel “Memoriale”,
un foglio che Pascal portava sempre cucito all’interno dei suoi
abiti.
Si tratta di un’autentica rivelazione che darà inizio ad
un progressivo cammino interiore:
"Fuoco Dio di Abramo Dio di Isacco Dio di Giacobbe non dei filosofi
e dei dotti. Certezza. Certezza. Sentimento Gioia Pace Dio di Gesù
Cristo Deum meum et Deum vostrum.
Il tuo Dio sarà il mio Dio. Oblio del mondo e di tutto, tranne
Dio. Egli non si trova se non nelle vie indicate nel Vangelo. Grandezza
dell'anima umana. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti
ho conosciuto. Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia. Me ne sono
separato".
Da allora la sua vita cambia, si ritira frequentemente a Port-Royal-des-Champs,
dove trova pace e solitudine e comincia ad applicare su se stesso due
principi: rinunciare ai piaceri ed al superfluo, si dedicherà per
il resto della sua vita al sostegno dei poveri e dei malati.
Il suo stato di salute si aggrava, ma egli sempre, tiene fisso il proposito
di mortificarsi e di esercitare la pietà, cercando di rendere il
più conforme la sua vita a quella del Cristo.
Le problematiche esistenzialiste prendono il primo posto nelle sue riflessioni
e nei suoi pensieri, che si fanno più chiari e precisi.
Egli vede la sua malattia come un’opportunità di maturazione
interiore.
Uno degli aspetti del suo pensiero filosofico si basa sul fatto che l’intero
genere umano, sulla terra, è in una condizione di miserabile sofferenza
senza via d’uscita:
i desideri e le delusioni, la fatica, le ansie, così è per
tutti dalla nascita alla morte, ogni sforzo è vano, il destino
della vita umana è tracciato come parabola in declino.
L’uomo rischia però di essere soverchiato da questa realtà,
qualora vi riflettesse senza trovare risposte; allora, per non pensarci,
si dedica al mondo e ai divertimenti, (“devertere”= allontanare),
ed è così che passa l’esistenza senza che ci si renda
conto della situazione.
Da qui il bisogno di stare in compagnia, di evitare la solitudine, dei
discorsi vani o di circostanza; si evince che l’indifferenza dell’umanità
a problemi tanto fondamentali è in realtà una fuga da essi.
"Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria,
l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci".
Quando si presenta una condizione di malattia però, la situazione
cambia, messo di fronte ad una realtà più percepibile, l’uomo
è costretto a pensare alla sua miseria ed al rapporto col divino,
in questo senso la sofferenza diviene spinta di crescita.
Resta però il fatto che anche chi vive negli agi e nei piaceri
soffre a livello esistenziale (e quindi nel profondo) tanto quanto un
povero od un malato, questo pur essendone apparentemente ignaro.
Tutto ciò rende l’idea di quanto triste sia la condizione
umana, di tutta l’umanità (tanto da ispirare pietà),
ed ecco che la filosofia esistenzialista di Pascal cerca di mettere a
fuoco questi aspetti, insieme all’atteggiamento più consono
per accettare e superare una condizione, che è per suo stesso dire,
angosciosa.
"L’uomo è manifestamente nato per pensare; qui sta
tutta la sua dignità e tutto il suo pregio;
e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente.
Ora, l’ordine del pensiero sta nel cominciare da se stesso, dal
proprio autore e dal proprio fine.
Ma a che cosa pensa il mondo? Non pensa mai a questo,
ma a danzare, a suonare il liuto, a cantare, a scriver versi, a far tornei,
a battersi, a diventar re, senza pensare che cos’è un re
e che cos’è un uomo".
E’ anche vero per Blaise, che la Meta non si può raggiungere
con un’improvvisa folgorazione, ma con una lenta ascesa, fatta di
riflessioni e rinunce.
Nelle
sue esplorazioni interiori alla ricerca del senso della Vita, comprende
che la ragione ha dei limiti ed è lui, scienziato, a dirci che
quello da cercare non è il Dio dei dotti e dei sapienti, ma un
Dio vivente che risiede nel cuore di ogni uomo e con il quale è
possibile avere un rapporto personale e diretto.
Resterà celebre la frase: “Il cuore ha le sue ragioni,
che la ragione non conosce”.
Pascal diviene consapevole di come non vi sia problema al mondo che possa
essere sganciato dalla ricerca di Dio, che avviene insieme alla ricerca
della Fede.
Altra problematica affrontata è l’Infinito, che sfugge alla
ragione e si può solo percepire, ancora una volta, l’aspetto
intuitivo assume un ruolo determinante.
"Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto … Da ogni
parte vedo soltanto infiniti… Tutto quello che so è che debbo
presto morire;
ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte,
che non posso evitare".
L’uomo è un nulla rispetto all’Infinito, ed è
bene che se ne accorga prima possibile, scriverà nei suoi celebri
“Pensieri”:
“Alla fine che cos’è l’uomo nella natura?
Un nulla rispetto all’Infinito, un tutto rispetto al nulla, una
via di mezzo tra nulla e tutto;
infinitamente lontano dal comprendere gli estremi.
La fine delle cose e il loro principio gli sono invincibilmente nascosti
in un impenetrabile segreto.
Ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è tratto e l’Infinito
nel quale è inghiottito, che cosa farà allora, se non scorgere
qualche apparenza di ciò che sta nel mezzo delle cose, nell’eterna
disperazione di non poter conoscere il loro principio e la loro fine?
Tutte le cose sono uscite dal nulla e portate fino all’infinito.
Chi mai seguirà queste strade sorprendenti?
L’autore di queste meraviglie le comprende; nessun altro può
farlo.[…]L’uomo contempli dunque la natura intera nella sua
alta e piena maestà; distolga lo sguardo dagli oggetti bassi che
lo circondano. Volga gli occhi a quella luce splendente messa come lampada
eterna a illuminare l’universo; e la terra gli appaia come un punto
rispetto all’ampio cerchio descritto da quell’astro, e provi
stupore nel fatto che quell’ampio cerchio non è esso stesso
che una lievissima traccia rispetto a quello che abbracciano questi astri
che ruotano nel firmamento”.
Ma “sentire” Dio vuol anche dire, pensare e vivere in un modo
nuovo, dove Gesù è Centro e Modello, poiché in lui
solo la Fede, il Pensiero e la Vita si fondono in completa Armonia:
“A Gesù Cristo guardano i due Testamenti:
l’Antico come all’atteso, il Nuovo come al suo modello, tutti
e due come al loro centro”.
Vengono anche forniti dei consigli pratici:
“Fare le piccole cose come se fossero grandi, a causa della
maestà di Gesù Cristo che le fa in noi e che vive la nostra
vita; e le grandi come se fossero piccole e facili, a causa della sua
onnipotenza”.
“La Vera religione insegna i nostri doveri, le nostre impotenze
(orgoglio e concupiscenza) e i rimedi (umiltà e mortificazione)”.
“Noi soffriamo in proporzione alla resistenza che il vizio, connaturato
in noi, oppone alla grazia soprannaturale; il nostro cuore si sente lacerato
da sforzi contrari; ma sarebbe ingiusto imputare questa violenza a Dio,
che ci attira, invece di attribuirla al mondo, che ci trattiene”.
Va comunque detto che Pascal non ha mai osteggiato la scienza, definendola,
nell’ambito che ad essa spetta, sovrana e difendendola da bigottismi
e posizioni miopi prese da certi teologi dell’epoca.
Un esempio in grado di avvalorare la sua libertà di pensiero è
ritrovabile nella polemica antigesuita, nelle sue 18 lettere denominate
Provinciales, dove attacca la morale gesuitica e difende la comunità
di Port-Royal accusata dalla chiesa perché in odore di eresia giansenista
(pratica messa al bando da Papa Innocenzo X, nel 1653).
L’apologia di Pascal sostiene che la ragione debba essere subordinata
all’intuizione ed al cuore, da qui il rifiuto alla teologia che
pretende di modellarsi su schemi di tipo matematico.
L’esistenza di Dio non può infatti essere dimostrata in alcun
modo razionale, ne tanto meno negata, va percepita e seguita, perché
la Fede va intesa come una scelta.
Il problema non è quindi convincere della veridicità della
religione cristiana;
ma se aderirvi o meno.
Una delle più ardite e convincenti teorizzazioni pascaliane è
quella della “scommessa sull’esistenza di Dio”, una
scommessa dove si gioca tutto.
Proprio per l’indimostrabilità della sua esistenza, l’uomo,
davanti al divino si trova ad un bivio.
Seguire Dio oppure il mondo?
Il rapporto fra le probabilità che Dio esista o meno, è
un rapporto finito, inscrivibile in un numero, proprio
per il fatto che non vi è alcuna certezza a riguardo;
si può quindi di volta in volta, argomentare a pro o a contro e
variare questa percentuale.
Dove vi è invece un rapporto infinito è
nella posta in gioco, Dio (qualora ci fosse) è il Tutto:
Felicità infinita; Beatitudine, Sapienza, Potenza ed Amore infiniti,
al cui confronto il mondo rimane ben misera cosa.
Al giocatore, a qualsiasi individuo, conviene quindi puntare su Dio, per
il semplice fatto che se vince, è partecipe dell’Infinito;
se perde, non avrebbe perso molto, dato l’effimera durata delle
cose mondane.
Oltretutto qualora si puntasse sul mondo, si vivrebbe come sempre si è
fatto e l’infelicità che ci spinge alla ricerca di qualcosa
in più, perdurerebbe fino alla fine.
"Poiché scegliere bisogna, vediamo ciò che vi interessa
di meno.
Voi avete due cose da perdere: il vero e il bene;
e due cose da impegnare nel gioco:
la vostra ragione e la vostra volontà,
la vostra conoscenza e la vostra beatitudine;
e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. (...)
Valutiamo questi due casi: se guadagnate, voi guadagnate tutto;
se perdete, non perdete niente.
Scommettete dunque che egli esiste, senza esitare".
La Fede arriverà progressiva, esercitandosi nell’Amore e
nelle virtù.
Lungo il suo cammino intellettuale, nella sua esperienza di attento osservatore,
Pascal individua due differenti spiriti (modi d’intendere, di cogliere
i problemi e percepire la realtà) attivi nell’uomo, che egli
definisce come: spirito di geometria (esprit de géométrie)
e spirito di finezza (esprit de finesse).
Il primo procede dimostrativamente, è la ragione scientificamente
intesa, ed ha come oggetto le cose esteriori; il secondo permette di “sentire”
ed intuire le verità, discernere le sfumature basandosi sul sentimento,
ed ha per oggetto l’uomo.
Lo spirito di geometria è comunque subordinato allo spirito di
finezza, proprio come la ragione lo è al cuore.
Lo spirito di finezza permette di conoscere l’uomo interiormente,
nella sua essenza spirituale e questa è la strada per raggiungere
la Verità, ed il modo migliore di vivere.
"Bisogna conoscere se stessi; quand’anche non servisse
a trovare la verità, giova per lo meno a regolare la propria vita.
E non c’è nulla di più giusto".
Ed è proprio grazie ad una vita moralmente più giusta ed
equilibrata, regolando i suoi desideri e le sue aspettative, che l’uomo
può trovare la giusta dimensione con la quale intraprendere il
viaggio verso le Conoscenze più alte.
L’auto-convincimento è vano, se non viene accompagnato dalla
costante eliminazione delle passioni.
L’unica forza e grandezza dell’uomo è la sua capacità
di riflettere, di pensare e riconoscere la sua pochezza di fronte all’Infinito
o alle forze ed elementi della natura, ma in virtù di questa consapevolezza,
diviene immenso e partecipe del Divino quando regola la sua vita ed esercita
queste sue prerogative.
“L’ uomo non è che una canna, la più fragile
di tutta la natura; ma è una canna pensante.
Non c'è bisogno che tutto l'universo s'armi per schiacciarlo: un
vapore, una goccia d'acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l'universo
lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide,
perché sa di morire e conosce la superiorità dell'universo
su di lui; l'universo invece non ne sa niente.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero.
E' con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio
e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensare bene: questo
è il principio della morale".
Il 19 agosto del 1662, a soli 39 anni, Pascal muore, in casa della sorella
Gilberte.
Lascia in eredità, all’intero genere umano, importanti e
fondamentali scoperte scientifiche, ed ancor più preziose intuizioni,
che ne fanno un autentico ricercatore e pioniere, tanto delle scienze
della fisica, quanto di quelle dello Spirito.
I suoi “Pensieri” sono il limpido testamento, amorevolmente
lasciato al genere umano, da un uomo che, con coerenza, ha modellato la
sua vita per renderla davvero utile ed esemplare, insegnandoci a vivere
nel presente ogni attimo della nostra esistenza, non rimandando al futuro
decisioni e speranze.
L’esperienza di Pascal insegna come ogni dolore e tribolazione sia
trampolino di lancio verso le più alte vette dello Spirito, la
sofferenza va quindi affrontata con la giusta attitudine.
Se il mondo è affanno e tristezza, Dio è Gioia ed Amore,
sta a noi, esseri dotati di pensiero, scegliere come dirigere la nostra
vita.
Nell’ottocento,
il grande scrittore francese Chateaubriand, percependo l’importanza
di tali precetti, descriverà la luminosa parabola della vita di
Pascal con queste memorabili parole:
"Ci
fu un uomo che a 12 anni, con aste e cerchi, creò la matematica;
che a 16 compose il più dotto trattato sulle coniche dall’antichità
in poi;
che a 19 condensò in una macchina una scienza che è dell’intelletto;
che a 23 anni dimostrò i fenomeni del peso dell’aria ed eliminò
uno dei grandi errori della fisica antica; che nell’età in
cui gli altri cominciano appena a vivere, avendo già percorso tutto
l’itinerario delle scienze umane, si accorge della loro vanità
e volse la mente alla religione; che da quel momento sino alla morte –
avvenuta a 39 anni – sempre malato e sofferente, fissò la
forma della lingua in cui dovevano esprimersi Bossuet e Racine, diede
il modello tanto del motto di spirito più perfetto quanto del ragionamento
più rigoroso;
che infine, nei brevi intervalli concessigli dal male, risolse quasi distrattamente
uno dei maggiori problemi della geometria e scrisse dei pensieri che hanno
sia del divino che dell’umano.
Il nome di questo genio portentoso è Blaise Pascal".
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