Condensare
l’insegnamento di un gigante dello spirito come Gandhi in poche
pagine, od in interi volumi, è un’impresa impossibile,
egli stesso convalida questa frase quando afferma:
“Io non ho messaggi. Il mio messaggio è la
mia vita”.
Ma chi è Gandhi, come ha vissuto e quale è stata la sua
missione su questa terra?
Per conoscerlo bisogna conoscere la sua vita, le sue esperienze, le
sue idee.
Sembra strano, ma per parlare della grandezza infinita dello Spirito
e della sua azione, bisogna parlare anche di un piccolo e minuto uomo,
nato in una provincia dell’India, a Porbandar, nel 1869.
L’India di fine ottocento è un mondo a sé; 700.000
villaggi, 300 religioni, un’infinità di dialetti, lingue
e tradizioni differenti, la società è divisa in più
di mille caste dove la disuguaglianza fra poveri e ricchi è spaventosa.
Il paese risulta profondamente diviso fra indù (la maggioranza)
e musulmani, ed è posto sotto il giogo dell’impero britannico,
che lo governa con pugno di ferro e ne sfrutta le risorse economiche,
contribuendo ad un sempre maggiore impoverimento della popolazione.
Gandhi, soprannominato il “Mahatma”
(Grande Anima) dal poeta indiano R. Tagore, studia a Ahmrdabad e si
laurea in giurisprudenza a Londra, dove ha l’opportunità
di conoscere la società inglese. E’ un momento di apertura
verso il mondo europeo ma anche di profonda crisi spirituale, dovuta
anche ad un approfondita lettura della Bhagavad Gîtâ, il
Poema Divino indiano.
Nel 1891 ritornerà in India e nel 1893 andrà a Durban,
in Sud Africa, come consulente legale per una ditta indiana. In questo
soggiorno Sud Africano, che durerà ventuno anni, Gandhi deve
confrontarsi con una realtà terribile come la segregazione razziale
e l’apartheid, in cui a migliaia, fra indigeni ed indiani, subiscono
continue umiliazioni da parte del “potere bianco”.
Lo stesso Gandhi al momento dell’arrivo, prova sulla sua pelle
mortificanti atti: come essere costretto a scendere da un treno, non
essere accettato negli alberghi, venire scaraventato giù dai
marciapiedi riservati ai bianchi. Dopo pochi giorni, vincendo la sua
estrema timidezza, organizza una riunione della comunità indiana,
dove si propone di insegnare l’inglese agli immigrati, li sprona
a comportamenti più civili, a perfezionarsi moralmente e cerca
di unirli sotto un’unica causa.
Il 1894 è un anno di svolta, legge “Il
Regno di Dio è in voi” , opera di Tolstoj
e dirà in seguito:
“A quel tempo credevo nella violenza,
la lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me
un fermo seguace dell’ahimsa (termine che indica appunto
la non-violenza) ”.
Tra i due si apre anche una corrispondenza, nella sua lettera a Tolstoj
del 4 Aprile 1910, Gandhi si definisce “vostro
umile seguace”, crea anche una comunità sulla
base degli scritti tolstojani; laboratorio dove sperimentare la convivenza
fra culture e religioni diverse. Fonda il “Natal Indian Congress”
nel quale raccoglie la comunità indiana per unirla nella causa
comune contro i soprusi.
Quasi profeticamente, nella sua ultima lettera prima di morire, lo scrittore
russo dirà:
“La vostra attività nel Transvaal,
che ci pare ai confini della terra, è l’opera più
centrale, più importante, fra tutte quelle che si svolgono attualmente
nel mondo”.
D’ora in avanti, le battaglie del Mahatma saranno basate sul concetto
della non-reazione, che lo porta ad accettare con coraggio le ingiurie
e le percosse della guardia britannica, affinché attraverso il
dolore provocato vedano la loro ingiustizia.
Gandhi sviluppa anche il concetto filosofico della satyâgraha
(forza della Verità).
E’ un insegnamento rivolto a tutti, un principio di non collaborazione
con tutto ciò che è male, il dominio dello Spirito sulla
materia e presuppone l’identificazione della Verità con
Dio e la sua ricerca durante il cammino della vita.
Insieme alla Fede e alla Forza di Volontà, colui che pratica
questa dottrina dovrà possedere profonde doti morali ed essere
adeguatamente preparato al suo compito; a tal proposito scriverà:
“Ecco le condizioni necessarie per il successo del satyâgraha:
1) Il satyâgrahi non dovrebbe nutrire alcun odio per l’avversario.
2) La questione deve essere vera e sostanziale.
3) Il satyâgrahi deve essere pronto anche a morire”.
Nel
1906, in risposta all'ingiusta legge, secondo la quale gli asiatici
avrebbero dovuto fornire le impronte digitali ed uno speciale passaporto,
vengono prese posizioni ancora più decise.
E’ il momento per sperimentare su grande scala questi concetti
filosofici: la maggioranza degli indiani rifiuta di sottoporsi ai controlli,
non pagano le sanzioni e si lasciano trasportare negli “alberghi
di sua maestà”; così definiva Gandhi, con la sua
pungente ironia, le carceri britanniche.
Il Mahatma vi resterà per due mesi, uscito continuerà
la dura battaglia per diversi anni.
Ormai leader indiscusso del movimento, nel 1912 proclama “l’hartal”,
una giornata di astensione dal lavoro, di preghiera e digiuno; questa
iniziativa gli costerà 15 mesi di reclusione, ma grazie ad un’opinione
pubblica internazionale ormai sensibilizzata alla causa, il governo
cede, concede la parità dei diritti ed elimina le leggi razziali.
Famoso, nel 1915 fa ritorno nella sua amata India, che versa in una
condizione pietosa e dove guiderà (come leader del Partito del
Congresso) le lotte che lo hanno reso leggendario, per condurre questa
immensa nazione lungo il cammino per l’indipendenza e la piena
libertà.
Il percorso inizia con un viaggio attraverso l’intera nazione,
dove tocca con mano la miseria e lo stato in cui vivono centinaia di
milioni di persone.
Tutto questo avviene in un periodo in cui l’intera Europa è
scossa da fermenti, scioperi e proteste.
In Russia e Cina la situazione è ormai insostenibile, contadini
ed operai sono allo stremo delle forze, i focolai di ribellione vengono
soppressi con esecuzioni di massa, imprigionamenti, gogne; grandi mutamenti
si stanno preparando per il prossimo futuro.
Gandhi propone la Via della “ahimsa” come autentica soluzione
ai conflitti, dove l’India potrebbe aprire la strada ad un nuovo
mondo, seguendo il suo esempio infatti, le nazioni della terra possono
giungere a nuova emancipazione .
“Sono un incorreggibile ottimista. Il
mio ottimismo si fonda sulla mia convinzione che ogni individuo ha infinite
possibilità di sviluppare la non-violenza. Più l’individuo
la sviluppa, più essa si diffonderà come un contagio che
a poco a poco contaminerà tutto il mondo”.
“Non c’è liberazione per
alcuno su questa terra, né per tutta la gente di questa terra,
se non attraverso la Verità e la non-violenza”.
Da qui in poi il Mahatma ne diverra’ l’emblema per antonomasia,
unitamente alla Legge dell’Amore universale, al rispetto e comunione
di tutte le religioni ed alla ferma convinzione nell’autodeterminazione
dei popoli:
“Il mio più intimo desiderio
è di realizzare la fratellanza tra tutti gli uomini, indù,
musulmani, cristiani, parsi ed ebrei…” il servizio
per il prossimo diviene uno dei punti principali dell’esempio
di Gandhi, “non vi è limite all’estensione
dei nostri servizi ai nostri vicini di là dalle frontiere fatte
dagli stati. Dio non ha mai creato frontiere”.
L’esperienza del Mahatma e dei suoi seguaci è imperniata
su una rigorosa autodisciplina, sulla vita in
povertà, sull’eliminazione delle passioni, sull’autocontrollo
e soprattutto sul coraggio, perché:
“l’Amore non conosce mai la paura”.
Insisterà a lungo su questo punto: “Non-violenza
e codardia si accompagnano male. Posso immaginare un uomo armato fino
ai denti che sia, in cuor suo, un codardo. Il possesso di armi implica
un elemento di paura, se non di vigliaccheria.
La vera nonviolenza è impossibile ove non si possegga un indomito
coraggio”.
La battaglia per l’indipendenza, l’uguaglianza, la dignità
ed una migliore ripartizione economica delle ricchezze, si svolge in
una maniera mai sperimentata prima d’ora:
le armi dell’”esercito della pace”
sono la non resistenza al male, la preghiera, il digiuno, lo sciopero,
il boicottaggio e la disobbedienza civile.
“Il
senso della vita consiste nello stabilire il Regno di Dio sulla terra,
cioè nel porre la sostituzione di una vita egoista, astiosa,
violenta ed irragionevole con una Vita di Amore, di Fratellanza, di
Libertà e di Ragione”.
Ma un popolo, per crescere moralmente e camminare verso la libertà
ha bisogno di basi solide; Gandhi ben comprende che le genti vessate
non possono occuparsi di problemi di questo tipo.
“Un uomo affamato pensa a soddisfare
la sua fame prima che a qualsiasi altra cosa. Venderà la libertà
e tutto il resto per un boccone di cibo. Tale è la condizione
di milioni di individui in India. Per loro, la libertà, Dio e
tutte le parole di questo genere sono semplicemente lettere messe insieme
senza il minimo significato. Li urtano.
Se vogliamo dare a questa gente il senso della libertà, dovremo
procurare loro un lavoro che essi possano fare facilmente nella loro
casa desolata e che dia loro almeno il minimo per vivere…”.
Riguardo alla confisca delle terre e all’affittanza agraria dirà:
“Di fatto, la terra appartiene a chi
la lavora”.
I problemi dell’India aumentano ulteriormente quando, nel 1917,
entra in guerra a fianco dell’Inghilterra, in seguito a ciò,
il governo istituisce nuove misure restrittive per la difesa interna
e contro i crimini politici o ritenuti tali.
In risposta a queste ingiuste leggi, inizia una nuova campagna “satyâgraha”,
con disobbedienza civile, giorni di digiuno ed un grande sciopero generale
il 30 marzo. L’intera nazione si ferma, autobus, treni, scuole,
mercati, telegrafi, oltre duecento milioni di persone aderiscono all’iniziativa.
Come conseguenza, il Mahatma viene arrestato, vi sono manifestazioni
di protesta che a Delhi e nel Punjab verranno represse nel sangue, gli
inglesi spareranno sulla folla inerme. In risposta a questa efferata
aggressione, degli indiani uccideranno alcuni soldati inglesi. Il bilancio
delle vittime sarà comunque di 400 morti ed oltre 1100 feriti,
fra cui donne e bambini innocenti.
Amareggiato per questi atti di violenza compiuti da una parte e dall’altra,
Gandhi ribadisce con ancor maggiore fermezza che la libertà dell’India
deve passare per la non-violenza, digiunerà ritenendosi responsabile
di queste violenze e riprenderà successivamente la lotta con
lo stesso fervore ricordando che: “bisogna
lottare per cambiare, non per punire”.
Chi segue il cammino della Verità deve avere chiaro quale dev’essere
il suo rapporto con l’antagonista: “Il
suo scopo non dev'essere quello di punire o di infliggere ferite all'avversario;
pur non collaborando con lui, dobbiamo fargli sentire che in noi egli
ha un amico e dobbiamo tentare di toccargli il cuore rendendogli servigi
umanitari ogni volta che ci è possibile.
Questa è la bellezza della “satyagraha”. Ti viene
incontro, non devi andarlo a cercare tu”.
Gandhi verrà nuovamente imprigionato nel 1922 dopo aver scritto
una lettera al Viceré in cui dichiarava l’avvio definitivo
dell’India verso la completa autonomia; condannato per due anni
dirà:
“In prigione sono felice come un uccellino”.
Nel 1929, si batte anche per i diritti degli intoccabili, la casta più
umiliata, forte di una fede non vincolata ad alcun dogma
ammetterà durante una conferenza:
“Vorrei piuttosto vedere l’induismo
morire che l’intoccabilità sopravvivere. Perciò
sostengo qui, con tutta solennità, che se dovessi essere l’unico
a resistere lo farei a costo della vita”.
Il genio politico di Gandhi si denota anche dalla forza evocativa dei
simboli che utilizza.
L’inseparabile telaio, con cui prega e tesse, simbolo dello sfruttamento
economico perpetrato dal governo britannico, che prende in India le
materie prime e le porta in Inghilterra a lavorare, sottraendo così
ricchezza agli indiani. Gandhi sprona a farsi da se, con il proprio
lavoro i vestiti, boicottando il commercio delle stoffe britannico.
Rimarrà famosa la frase:
“Non esiste bellezza, con la veste più
fine, se produce infelicità”.
Nel 1930 compie uno dei gesti che rimarranno sempre ricordati nella
storia dell’umanità, proprio in virtù di quell’impatto
emblematico e del preciso messaggio che egli sempre ha dato ad ogni
sua azione.
Indìce quella che sarà chiamata marcia del sale,
manovra che rientra nella campagna di disobbedienza civile contro la
tassa omonima, che colpisce in maniera crudele le classi povere.
La marcia dura 24 giorni, il Mahatma è seguito da decine di migliaia
di persone ed il mattino del
12 marzo, raggiunta la riva del mare, insegna ai contadini ad estrarre
il sale dall’acqua, nell’intento di renderli autonomi dall’acquisto
del prodotto inglese.
E’ un autentico spregio al monopolio. La più massiccia
campagna di boicottaggio che l’India abbia mai conosciuto ha inizio:
sale, tessuti e isolamento dei funzionari e commercianti britannici
sono oggetto di questa nuova manovra politica.
Il governo Inglese risponde incarcerando Gandhi e sua moglie, insieme
all’impressionante numero di 60.000 persone che non reagiscono
al momento della cattura! La nonviolenza dei satyâgrahi diventa,
per l’imperialismo britannico, un problema che sta assumendo dimensioni
incontenibili proprio in virtù delle contraddizioni che scatena.
Il Mahatma è ormai il padre dell’India, la sua forza, il
suo carisma, riescono a tenere unite diverse etnie e religioni, è
amato dalle masse, anche fuori dalla sua nazione.
Il suo messaggio di povertà, umiltà
e amore non può davvero essere rinchiuso tra le sbarre
di una prigione, come limpido vento sembra risvegliare le coscienze
assopite.
Le crudeltà e contraddizioni del governo oppressore vengono conosciute
dall’opinione pubblica internazionale che mostra sempre maggiore
interesse per la “questione indiana”.
Egli alla violenza risponde con l’amore, porge letteralmente l’altra
guancia, accade l’incredibile, l’oppresso ama l’oppressore!
Questo, nella filosofia di Gandhi può avvenire perché:
“l’uomo e le sue azioni sono due
cose distinte… colui che compie l’azione, buona o cattiva
merita sempre rispetto o comprensione”.
La sua è una continua crescita e ricerca in favore del prossimo:
“La verità è come un grande
albero, che più lo si coltiva più da frutti. Quanto più
profonda la ricerca nella miniera della verità, tanto più
ricca la scoperta delle gemme che vi sono sepolte sotto forma di occasioni
per una sempre maggiore varietà di servizio”.
Gandhi vive una reale spiritualità fuori dai canoni tradizionali,
pur rimanendo indù il suo rispetto include ogni forma di pensiero
religioso che sia in linea con l’Amore universale;
riguardo al Cristo dirà:
“Benché io non mi dichiari cristiano
nel senso abituale di questa parola, l’esempio della sofferenza
del Cristo è uno dei fattori della mia indefettibile fede nella
nonviolenza, che è la regola di ogni mio atto morale e di qualsivoglia
mia azione.
Io so che milioni di cristiani condividono questa fede. Gesù
però è vissuto e morto invano se non abbiamo imparato
da lui a regolare la nostra vita sulla legge eterna dell’Amore”.
“Cristo è la più grande
sorgente di forza spirituale che l’uomo abbia mai conosciuto”,
“Cristo non appartiene solo al cristianesimo, ma al mondo intero”.
Per Gandhi, il messaggio di Gesù è condensato nel “Discorso
della Montagna”, ed egli afferma, a ragione, che questo ha subìto
delle vere e proprie distorsioni nell’Occidente, occorre quindi
un riequilibrio che non passi attraverso il filtro di organi o istituzioni,
ma attraverso un intimo rapporto fra l’individuo stesso e Dio.
“Per me Dio è Verità e
Amore; Dio è etica e morale; Dio è coraggio. Dio è
la fonte della luce e della vita e tuttavia è sopra e al di là
di tutto questo. Dio è coscienza, è perfino l’ateismo
dell’ateo. Trascende la parola e la ragione. E’ un Dio personale
per coloro che hanno bisogno della Sua presenza personale. E’
incarnato per coloro che hanno bisogno del Suo contatto.
E’ la più Pura Essenza”.
Ognuno deve seguire il proprio cammino interiore.
“La vera moralità consiste non
già nel seguire il sentiero battuto, ma nel trovare la propria
strada e seguirla coraggiosamente”.
Questi suoi stupendi messaggi vengono ripetuti in continuazione nei
suoi discorsi, negli scritti, nelle lettere alle persone care, ai giornalisti
che da tutto il mondo vogliono intervistare il “piccolo grande
uomo” di cui tutti parlano e che mette in pratica, nella vita
di ogni giorno l’esperienza evangelica pur non frequentando chiese
o sette cristiane.
Gandhi combatte non per annientare l’avversario, bensì
per convertirlo alla non-violenza con la forza dell’Amore, della
Tolleranza e del Perdono.
Dopo numerose lotte verrà finalmente invitato a Londra per discutere
della futura indipendenza dell’India, della sua costituzionalità
e delle condizioni che il governo britannico propone.
La vittoria è ad un passo dal compiersi.
Ma il destino dell’uomo e il Karma delle nazioni hanno percorsi
tortuosi e imprevedibili.
Nel 1939 l’India entra nella seconda guerra mondiale, i problemi
interni e gli attriti fra indù e musulmani si fanno sentire con
maggiore insistenza, ormai si parla di un futuro stato musulmano separato
dall’India.
L’unità indù-musulmana sembra perdersi all’orizzonte
dei rispettivi egoismi proprio quando l’Inghilterra alla fine
del conflitto e con il cambio di governo, ha ormai avviato le manovre
per l’autonomia dello Stato coloniale.
Amareggiato per la mancata unità, farà altri tentativi,
dicendo che “musulmani ed indù
sono l’occhio destro e l’occhio sinistro dell’India”,
e a chi gli chiede, da che parte stia in questo conflitto, che diviene
sempre più guerra civile e fratricida risponderà:
“Io sono musulmano, ebreo, indù,
cristiano…”.
Si formerà il Pakistan, stato musulmano e la sera del 15 agosto
1947 la bandiera inglese verrà ammainata dopo tre secoli di colonizzazione.
Nell’intera nazione ci sono tumulti, di mese in mese i morti non
si contano più; a Calcutta è guerriglia.
Ancora una volta, Gandhi affronterà la situazione nella maniera
che sempre lo ha distinto: farà un lungo digiuno per evitare
la definitiva sollevazione popolare, digiunerà a fianco dei leader
indù e musulmani, i bollettini medici sulle sue condizioni di
salute fanno il giro dell’India, più la condizione clinica
si aggrava, più i tumulti calano di intensità.
Alla fine si fermeranno del tutto e ci sarà tregua. L’amore
del popolo indiano per il Mahatma ha potuto più del reciproco
odio, il bene ha vinto il male con la forza del digiuno e della preghiera.
Dopo
quest’ ultimo, magnifico esempio di una Vita vissuta all’insegna
della grandezza spirituale,
a New Dehli, il 30 gennaio 1948, a 78 anni, Gandhi viene assassinato
con due colpi di pistola proprio da un indù contrario ai sentimenti
di fratellanza per i musulmani.
Finisce la vita terrena del Mahatma, in riferimento a questo, qualche
anno prima disse: “Dopo che me ne sarò
andato nessuno saprà rappresentarmi in modo completo. Ma un pezzetto
di me sopravviverà in molti di voi. Se ciascuno pone la causa
per prima e se stesso per ultimo, il vuoto sarà riempito in larga
misura”.
Il
New York Times lo definirà “il più grande indiano
dal tempo di Buddha” proprio in virtù del grande e continuo
esempio di costanza, forza morale, rettitudine, amore umiltà
e volontà di servizio che ha saputo donare al mondo intero.
Il
messaggio, che con queste doti, è possibile fare grandi cose,
come rendere magnifica e speciale la propria vita, e mutare il destino
di un’intera enorme nazione come l’India è, grazie
a lui, tangibile.
La Ricerca di Dio a cui si è devotamente dedicato deve essere
di sprone ad ognuno di noi.
Gandhi ci insegna che la forza di una civiltà non è la
sua economia, ne l’industria bellica, la moda e tutto quello di
cui l’occidente si fa vanto, “Vogliamo,
prima, copiare le Nazioni occidentali e poi, in un vago e lontano futuro,
dopo tanti tormenti, tornare sui nostri passi? O vogliamo avviarci per
una strada diversa e, con sistemi originali, vincere la partita e affermare
la nostra libertà?”.
L’unica vera ricchezza di una civiltà deve essere la sua
grandezza morale. Punti di forza la sua capacità di tollerare
il prossimo, la cooperazione con le altre culture, una migliore distribuzione
della ricchezza, l’impegno per abbattere ogni forma di sfruttamento
e per risolvere in maniera pacifica ogni conflitto e controversia internazionale.
Quella suggerita dal Mahatma non è una battaglia facile, ma è
l’unica speranza di salvezza per l’umanità, e allora
Forza, uomini di Buona Volontà! battiamoci pacificamente per
un mondo migliore! “Nessuno potrebbe
essere attivamente non-violento e non insorgere contro l’ingiustizia
sociale in qualsiasi luogo si manifesti”.
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